Ruralpini 

Fotoracconto/Malga Montalon

 

Home 

Bibliografia

Laura Zanetti, Paolo Berni Formaggi e cultura della malga con disegni Giuseppe Liguori. 2^ ed., 1988, Verona , Cooperativa editrice Nuova grafica Cierre


Articoli correlati

 

Formaggio originale malghe del Lagorai

 

Il ritorno degli artigiani del latte (riapre l'antica latteria di Strigno)

 

Il Lagorai raddoppia le sue produzioni artigianali

 

Fotoracconti

Valstrona (VB)

'A Forno c'erano 500 capre e a Luzzogno lo stesso' (Alpe Sass da Mur)

La Storia di due caprai, di una scrofa innamorata e di un gatto coraggioso (Alpe Balma)

Toni Lavarini sul suo alpeggio in Valstrona (anni '80)

Valle Anzasca (VB)

Adesso non ci passa più nemmeno il mulo (Alpe del Lago)

 

 La capretta che 'fa' il cagnolino (storia di un 'neo-insediamemento' agricolo)

 

Val Grande (VB)

Rosanna e Rolando: neomontanari che fanno agricoltura nella Val Grande (VCO), spacciata per 'la più grande area wilderness d'Europa'

Val Seriana (BG)

Motocross in montagna: sport o vandalismo? Un problema non solo bergamasco

Cantine (hilter) d'alpeggio. Monumenti minacciati  (Malga Valmezzana)

Val Lesina (SO)

 

Una storia in controtendenza: qualche volta gli alpeggi rinascono (Alper Legnone)

 

(Aggiornamento Alpe Lenone)

 

Val Gerola (SO)

 

Come nasce la maschèrpa d'alpeggio delle Valli del Bitto

 

 Val San Giacomo (SO)

 

L'Alpe Andossi : due 'stili d'alpeggio' agli antipodi (ma comunque il bosco è stato fermato)

 

L'Alpe Laguzzolo torna a vivere con le capre di Barbara e Pietro

 

 Tremezzina (CO)

 

 I furmagitt de cavra del Miro (a Sala Comacina)

 

 

Malga di Montalon.

Malghese Oswald Tonner

tel. 3407707651  

Maso Berger, Frazione Cauria 39040 Salorno (BZ)

 

Fax: 0471-889154

tel. 0471889154

AMAMONT

www.associazione-malghesilagorai.it

 

 

(26.07.10)  Sul Lagorai già sconvolto dalla prima guerra mondiale c'è un nuovo fronte. Che divide i sostenitori della wilderness, della deantropizzazione, del 'cuore selvaggio del Trentino' da coloro che vogliono difendere e valorizzare il paesaggio culturale delle malghe    

 

Lagorai significa civiltà delle malghe

Il 23-25 luglio l'associazione Amamont (amici degli alpeggi e della montagna) ha organizzato una visita nel Lagorai con meta principale la Malga Montalon.  Un'occasione per ribadire in un luogo-simbolo che monumenti di civiltà pastorale come il sistema delle malghe del Lagorai meritano una valorizzazione diversa e specifica e non la banalizzazione ad ormai anacronistici e inflazionati 'Parchi naturali' o a fondale per 'giochi di sopravvivenza'.

foto e testo di Michele Corti

 

 

A Malga Montalon, cui si riferisce il particolare della foto sopra, arriveremo con il nostro racconto tra un po'. Prima un po' di storia.

Nella foto sopra il sandalo del principale protagonista di questo fotoracconto, Oswald Tonner - che conosceremo a breve - calca un blocco di porfido quarzifero (roccia particolarmente 'tipica' proprio di questa montagna). Sul blocco, è incisa la data del 1906.  Dieci anni dopo tutta la zona del Lagorai veniva profondamente sconvolta dalla guerra. Il fronte passava molto vicino. I paesi a valle vennero evacuati, le malghe - distrutti i fabbricati e sconvolti i pascoli da trinceramenti e granate - restarono deserte. La ripresa fu lenta e difficile. Poi l'economia della malga tornò a rivivere e, sia pure senza rinverdire i fasti del passato, riprese vigore non subendo più scossoni sino alla crisi profonda dell'economia tradizionale tra gli anni '60 e '70.

Della quarantina di malghe presenti prima della prima guerra mondiale solo a Telve e Carzano oggi ne restano solo 22 in tutto il Lagorai. Parecchie, però, sono caricate solo con bestiame giovane e asciutto. L'importanza economica delle malghe del Lagorai rappresenta solo un pallido riflesso di quella del passato ma il filo della storia non è stato spezzato,  gli elementi di continuità non mancano e neppure le prospettive di una nuova valorizzazione.

 

Il Lagorai delle malghe

 

Il Lagorai dal punto di vista geografico è rappresentato da una catena montuosa lunga 50 km che rappresenta la 'spina dorsale' del Trentino orientale, con la Val di Cembra a Ovest, la Val di Fiemme a Nord, la Val Cismon a Est e la Valsugana a Sud. Il Lagorai quale area 'culturale' è però più ristretto e coincide con la Valsugana centrale con le profonde valli (Calamento e Campelle) che si dirigono a Nord e raggiungono la cresta della catena. La presenza di aree con dversi connotati culturali (a Ovest la Valle dei Mocheni, a Est il Tesino e il Vanoi) giustifica questa delimitazione. Nel Lagorai ricadono i territori dei comuni di Telve (quello più grande e con più malghe in relazione al suo ruolo di sede del castello degli antichi signori della zona), di Carzano, Scurelle, Roncegno, Torcegno, Telve di sopra, Spera, Pieve Tesino. Anche se la maggior parte delle malghe sono al giorno d'oggi di proprietà comunale alcune delle migliori appartengono alla famiglia Buffa di Castell'Alto.

I baroni Buffa dal XVI secolo al XIX secolo sono stati i feudatari della zona. Rinunciarono alla giurisdizione nel 1825 ma conservarono i beni allodiali (di proprietà privata e, anticamente, direttamente alle dipendenze del castello). La Malga Montalon è di proprietà della nonagenaria baronessa Luigia (Ginetta) Buffa che dimora abitualmente nel palazzo di famiglia a Padova. La famiglia degli ex-signori di Telve utilizza la malga come riserva di caccia (in autunno, dopo la partrenza del malghese). Al di là di rapporti di proprietà che possono vantare una continuità secolare (i documenti che fanno luce sulla realtà delle malghe risalgono al XIII sec.) vi sono molti altri elementi della cultura della malga che qui sul Lagorai risultano ancora vitali, a differenza di molte altre realtà del Trentino piegate ad una 'modernizzazione' acritica (che oggi è oggetto di un profondo ripensamento). Se oggi nel Lagorai è presente una consapevolezza del valore della 'civiltà della malga' e del significato di un 'sistema eco-etno-culturale delle malghe' il merito è in buona parte di Laura Zanetti. Laura negli anni '80 ha svolto un lavoro di ricerca etnografica sulle malghe del Lagorai che è poi stato utilizzato per la redazione del volume 'Formaggi e cultura della malga'  (di L. Zanetti e P. Berni con disegni Giuseppe Liguori, 1988, Verona).

 

Ricerca-azione

 

Laura ha interpretato lo spirito dell'osservazione partecipata, della ricerca-azione come pochi altri. L'aver documentato il valore di un patrimonio culturale di grande spessore ha spinto la Zanetti a non limitarsi alla documentazione, ma ad operare per fare di questo lascito un bene 'patrimoniale', parte della memoria collettiva, elemento da valorizzare nell'ambito di una ecomomia identitaria rispettosa della diversità bioculturale. Così sono nate le campagne per difendere il Lagorai dalla speculazione turistica e per conservare un sistema di pascolo e di caseificazione ancorato alle pratiche tradizionali; un caso praticamente unico in Trentino. Da qui è nata la Libera associazione malghesi e pastori del Lagorai di cui Laura e Oswald Tonner sono rispettivamente presidente e vice-presidente.

 

 

 

Laura ci ha accolti nella sua casa di Telve venerdì sera (era il 23 luglio). Eravamo alcuni dei partecipanti alla escursione alla Malga Montalon del giorno dopo (quelli che venivano da lontano) (nella foto Laura è all'estrema sinistra). Una casa la sua sistemata con rispetto per il passato ma apertura al presente, con amore per i particolari e tanta sobrietà, dove niente è 'soprammobile', 'fossile' ma tutto contribuisce a una narrativa, di sè, della famiglia, della cultura del luogo. Anche le 'collezioni' (sotto quella degli stampi del butiro' ) sono parte di una storia viva, in progress. Difficile parlare con Laura senza che il discorsa vada prima o poi a toccare le malghe e il butiro ('che da qui veniva esportato sino a Venezia')(su butiro vedi: La storia surreale del Butiro di malga). Le cose, le storie, del latte, del formaggio, del butiro si intrecciano con i temi della cultura e della politica, della poesia innanzitutto. Nella foto in basso a sinistra su una piastrella l'autografo di Lawrence Ferlinghetti (un'icona vivente della poesia contemporanea per intenderci).

 

 

Frequentatrice di poeti e organizzatrice di eventi poetici Laura è tutt'altro che una 'svagata poetessa' e, anzi, non 'molla' mai  (come forse qualcuno spererebbe)  le sue cause: le 'sue' malghe, i 'suoi' casari, la 'sua' latteria. Lo sanno bene i burocrati e i tecnocrati che non sono sinora riusciti a fermare le sue iniziative. Per mantenere tale la Libera associazione malghesi e pastori del Lagorai la nostra Laura è riuscita ad autofinanziarla producendo ogni anno un calendario delle malghe del Lagorai e andandolo personalmente a venderlo sin nei Palazzi della politica a Trento.

 

 

E' di questa primavera la nascita del Casólo (foto sopra), il formaggio invernale 'di latteria' (vedi: Il Lagorai raddoppia le sue produzioni artigianali ). Un tassello di una strategia perseguita con tenacia che ha portato prima a riaprire l'antica Latteria sociale di Strigno (Il ritorno degli artigiani del latte (riapre l'antica latteria di Strigno) ), per adibirla a sede di iniziative culturali e didattiche, e poi ha dato la possibilità all'azienda bio di Renato Pecoraro di valorizzare il suo latte  che avrebbe finito per essere ritirato dal 'sistema lattiero-caseario provinciale' a prezzo del latte convenzionale. Nel fare ciò la Latteria ha anche intrapreso il rilancio prodotti artigianali ormai 'estinti'. Ora dalle mani della giovane casara Anna (che conosceremo poi a Malga Montalon) escono tosèla, Casólo, yogurt. Un grave rammarico di tutti è il non poter produrre, almeno per ora, la puína (ricotta). Colpa della 'tecnologia', dei progettisti (ingegneri, architetti) che hanno forse sbagliato qualcosa, di collaudi nion eseguiti (pare). Di fatto la tecnologica calgéra non va oltre i  ...50°C ('ci fosse la vecchia calgéra con sotto la fiamma ...'). In attesa della puína i maiali di Renato ingrassano che è un piacere.

 

 

Alla cena preparata da Laura (senza nessun aiuto) oltre al Casólo abbiamo degustato anche la tosèla che tradizione vuole si cucini alla piastra (ma che noi, per apprezzarla, abbiamo anche provato tal quale). Sono formaggi a latte bio, crudo, con solo caglio e sale. E si sente. Dopo cena piacevoli discussioni tra amici ma poi a nanna abbastanza presto per affrontare la camminata del giorno successivo

 

 

Con le auto abbiamo risalito la profonda Val Campelle. Superato il rifugio Crucolo si lascia la strada principale che prosegue sino al fondovalle principale per raggiungere l'Hotel SAT Lagorai (la SAT è l'equivalente trentino del CAI). Qui si parcheggia (siamo a quota 1.360 dobbiamo salire a 1.864). Sul sito dell'Hotel vedremo poi che si reclamizza una 'cucina mediterranea, cucina sarda di pesce e grigliate all'aperto’ e persino un evento di quad cingolati svoltosi lo scorso febbraio. Lasciamo ai lettori le considerazioni del caso. A pochi minuti di cammino, prima che si interrompa la strada forestale, passiamo per una bella magiolera (maggengo) costruita con tronchi squadrati a blockbau (foto sopra). Poi si prosegue lungo un sentiero pedonale che rappresenta il collegamento della Malga Montalon (nostra meta) con il fondovalle. Il cammino è quasi sempre accompagnato dal mormorio del Rio Montalon e di suoi piccoli affluenti. Mentre saliamo ci raggiunge il giovane Stefano Centa 'capostite' dei 'ragazzi in alpeggio'. Nella foto sotto lo vediamo tra Plinio Pianta (presidente di Amamont) e Laura Zanetti (a destra Lucia, moglie di Plinio).

 

 

La camminata a piedi è di circa un'ora e mezza; verso la fine, superato il cancello di legno che delimita il pascolo di proprietà si esce dalla fitta abetaia e si scorge la malga in lontananza (il puntino chiaro tra le cime di due abeti nella foto sotto è la casera di malga Montalon). I colori sono spenti perché sta piovendo, non in modo battente ma comunque fastidioso.

 

 

 Per portare a valle il formaggio si usano gli asini. Ma Oswald, la sua compagna Joanna, gli animali (bovini, ovini, caprini) arrivano da Nord, dall'alto, ovvero dalla Forcella di Montalon  che costituisce un collegamento tra Val Campelle e la Val di Fiemme (è l'intaglio tra le montagne nella foto sotto, scattata, però, nel pomeriggio dopo il ritorno del sole).

 

 

E' una vera e propria migrazione alpina quella rappresentata dal percorso di 45 km tra il Maso di Oswald (Maso Berger, in frazione Caoria di Salorno, BZ) e la Malga Montalon.  Una migrazione che, dato  che le mandrie non percorrono più di 20-25 km al giorno richiede una tappa, presso malghe 'amiche' o 'aree attrezzate'. Una migrazione relativamente breve ma dura, con lunghi tratti su strade asfaltate dove 'alle mucche non piace camminare' come osserva Joanna (che ha già condiviso co Oswald diverse stagioni di malga). Quest'anno poi è stata più dura del solito perché ha nevicato e quattro capre non ce l'hanno fatta a superare la Forcella. Lo sbalzo termico, unito allo stess del lungo cammino è stato per esse fatale.

 In realtà in linea d'aria sarebbero solo 15 i chilometri che separanola malga dall'azienda di Oswald (al confine tra le provincie di Bolzano e la trentina Val di Cembra). Però  se si devono seguire le strade percorribili dagli automezzi la distanza si allunga a 110 km. Ed anche la distanza culturale non è poca in quei 15 km a volo d'uccello: si passa dall'area sudtirolese-tedesca a qualla fiammazza (trentino-ladina) a quella valsuganotta (trentino-veneta). La 'frontiera nascosta' (per richiamare un noto testo di antropologia alpina: La frontiera nascosta. Ecologia e etnicità fra Trentino e Sudtirolo di Cole John W. e Wolf Eric R., Roma-San Michele all'Adige, 1993) non è così netta come altrove (la Val di Fiemme è un po' un'area cuscinetto) ma c'è.  Ci torneremo.

 

 

Agli occhi di chi ha assunto come 'ordinaria' una visione della malga 'modernizzata' con le autocisterne del latte che fanno la spola con i caseifici industriali del fondovalle forse Montalon può apparire una malga 'particolare per persone particolari'. Gente un po' 'strana' che vuole provare l' 'esperienza della vita di malga, quella dei tempi passati'. Lo affermava, in modo alquanto discutibile, una Guida alle malghe pubblicata qualche anno fa dalla Provincia. Nel frattempo parecchie cose sono cambiate anche a Montalon. C'è la luce elettrica prodotta da una turbina da 4 kW, c'è il telefono (grazie ad un ripetitore nelle vicinanze a ad una antenna), si munge a macchina. Però in una regione Trentino-Sudtirolo dove non sono più di 10 le malghe senza strada Montalon continua ad essere 'particolare'. La gente che ci lavora, utilizzando gli asini per i trasporti è ancora senza dubbio 'strana' (almeno agli occhi dei 'tecnici' di stampo agriproduttivista della Fondazione Mach, ex. Ist agrario di San Michele, braccio operativo della Provincia autonoma in agricoltura).

Nonostante la luce elettrica a Montalon i fabbricati (fuori e dentro) sono ancora quelli di tipo tradizionale e la vita è sicuramente 'spartana' (ma con lati molto più confortevoli di molte malghe 'modernizzate'). Il visitatore (qui ne arrivano parecchi a piedi o a cavallo) deve superare un cancello in legno dove molto discretamente sono incise le tipologie di prodotti realizzati in malga: formaggio, burro, puína e yogurt. Non si dice 'vendita' peraltro.  Il formaggio è  vaccino (Originale malghe del Lagorai) , caprino e misto.  

 

A Montalon il siero oltre che a produrre puína serve ad ingrassare i maiali (che diventeranno speck, degustabile sul posto l'anno successivo).

 

 

Tra gli animali presenti a Montalon figurano anche gli asini indispensabili, come si è detto, per i trasporti a valle e per la 'transumanza' da effettuare a piedi. Nel grande vano che separa l'area 'giorno' (dove c'è la cucina e si lavora il latte) dall'area 'notte' , e dove sono radunati indumenti da lavoro e attrezzi, sono appesi anche i tradizionali basti e le ceste della foto sotto che non appartengono certo alla tradizione alpina ma che Oswald ha adottato per i trasporti a dorso d'asino. Multiculturalismo 'buono'.

 

 

 

Dal grande locale di 'disimpegno', che serve anche per evitare di mettere direttamente in rapporto i vani abitati con l'esterno, si accede alla cucina attraverso una porta dove è affisso il poster dedicato a Francesco Franzoi, storico malghese del Lagorai, mancato lo scorso anno. Il poster annuncia la serata del 23 maggio 2003 svoltasi a Telve e dedicata alla proiezione del filmato che con Francesco e la 'sua' Malga Valpiana protagonisti. In qualche modo Francesco, che guarda dal poster i visitatori che entrano nel 'cuore' della malga, è presente anche al nostro incontro. Mi piace pensare così.

 

 

Nel locale cucina insieme a tanti oggetti ed utensili vecchi e nuovi sono appese diverse edizioni del Calendario delle Malghe del Lagorai.

 

 

 Mentre mi dedico alle foto Fausto Gusmeroli si da più concretamente da fare con il tarèl della polenta.

 

 

Il sistema di allontanamento del fumo è molto efficiente. Tira un forte vento (freddo) da Nord che sembra voler risucchiare il fumo che esce a gran velocità dal lungo tubo che lo porta alla colma del tetto. Pare una vaporiera.

 

 

La polenta alfin è cotta e Joanna ha l'onore del taglio. Il colore è invitante (e il sapore non sarà da meno).

 

 

Oswald, che è rimasto indietro nelle faccende, si siede a tavola con tutti noi solo a pranzo inoltrato (è a capotavola,  con il cucchiaio nell'ottimo 'orzetto' tanto 'cattivo' che tutti hanno chiesto il bis. In mattinata ha avuto la visita del CFP (Corpo Forestale Provinciale) che ha accuratamente controllato il bestiame caricato (va detto, però, che nonostante questi controlli anche in Trentino si sono verificate in passato le truffe dei 'pascoli d'oro').

 

 

La mancata separazione tra la zona pranzo e quella di lavorazione del latte (notare nella foto sopra il braccio girevole cui è sospesa la calgéra) rappresenta uno dei motivi per cui la malga non è 'a norma igienico-sanitaria'. Però le piastrelle, in modo un po' ironico, ci sono (almeno nel disegno della plastica lavabile che 'tapezza' l'area di lavorazione del latte che vediamo nella foto sopra).

 

 

Dopo un fresco antipasto di crauti, verdure e cereali (non mancavano però in tavola i formaggi: vaccino, caprino e misto e un burro giallo oro accolto da grande entusiasmo dai comemnsali) il palato e lo stomoaco sono stati confortati da uno squisito 'orzetto'. Poi i piatti forti: agnello e spezzatino. Tutte carni del maso, ovviamente. Pur avendo già mangiato carne martedì, contravvenendo alla regola che mi sono imposto di un solo pasto carneo settimanale, il piatto di portata con l'agnello (foto sopra) è troppo invitante e cedo (solo a una porzioncina di agnello, beninteso). E' comunque carne bio allevata in modo sostenibile ecc. La coscienza ecologica è a posto. 

 

 

Dopo pranzo  (è stato servito anche un dessert di yogurt con salsa di mirtilli rossi) ci raggiungono altri due personaggi: Anna Pecoraro e Laura Milone. Anna, che è qui di Telve ma non è parente del Pecoraro allevatore, ha preparato la sua tesi etnografica sulle malghe (si è laureata in Lettere a Padova). Poi ha imparato a fare la casara da Oswald e in una malga vicina. Ora, sempre da volontaria, lavora nel caseificio di Strigno (vedi sopra). L'altra ragazza è Laura Milone che, invece, è una vecchia conoscenza. Venuta a studiare a Trento da Varese (ingegneria informatica) è rimasta a vivere qui. Non proprio qui in Valsugana, ma a Brentonico sotto il Monte Baldo. E' anche l'esponente di R.A.R.E.  (associazione per le razze autoctone a rischio di estinzione) in Trentino e la 'sitista'. Laura, che fa parte anche dalla Libera associazione malghesi e pastori del Lagorai (a sottoineare una  vocazione del sodalizio ad allargarsi fuori dalla Valsugana)  da qualche anno alleva capre Bionde dell'Adamello. Un allevamento amatoriale con 8 capi. La sua idea è quella di creare una rete di piccoli allevatori solidali che si aiutino tra loro superando le difficiltà di chi, con poco tempo e poco terreno, vuole allevare per autoconsumo o per pura passione animali di razze autoctone. Idee troppo intelligenti per essere sostenute dalle 'istituzioni' (ma che lobby accontentano?). Entrambe le ragazze leggono con attenzione lo speciale di Terra trentina appena uscito e dedicato alle malghe. E sul quale parecchi dei presenti avrebbero da avanzare qualche obiezione.

 

 

Oswald dopo pranzo senza indugio inizia la sua presentazione della malga (foto sopra). Spiega che, rispetto al passato, ci sono alcune 'comodità' in più. Da tre anni è possibile comunicare con il telefonino (anche se solo da una postazione fissa con antenna) mentre prima era necessario stabilire un ponte radio. La turbina copre le varie utenze elettriche e l'energia non utilizzata serve ad accumulare acqua calda (nella cucina campeggia un enorme boiler blu). Tra le difficoltà della malga, a parte l'accesso, Oswald segnala la vetustà delle strutture 'non a norma' (a parte l'impianto elettrico). Aggiunge, però, che essendo cresciuto in un ambiente 'non a norma' ha imparato dai vecchi contadini una 'autodisciplina' che 'loro avevano dentro'. 'Quando sono arrivati qui tre anni fa in quattro per fare i prelievi hanno visto che i locali non erano a norma; quando hanno visto i risultati delle analisi con grande stupore hanno dovuto constatare che erano molto migliori della media'.

Quanto alle azioni a favore dei formaggi di malga Oswald racconta che 'per il concorsi di Cavalese per i primi due anni quelli di San Michele facevano le cose molto seriamente; venivano a luglio a timbrare le forme destinate a partecipare. Poi l'anno dopo  mi telefonano  alla vigilia e mi chiedono di portare i miei prodotti che me li pagano. Faccio presente che non lo ritengo serio perché chiunque potrebbe andare a comprare prodotti di altri ma, alle mie rimostranze, ribattono: "Perché prendi la cosa così sul serio, è solo un contorno dell'evento turistico della Desmontegada". Non ho più partecipato.

Quando ai BLA (batteri lattici autoctoni) che lo 'speciale malghe' di Terra trentina presenta come una 'difesa della biodiversità' Oswald osserva che a lui nessuno è venuto a proporre nulla perché sanno come la pensa. Lui  mette una bottiglia di latte  vicino alla stufa avvolta in una coperta (al cui calduccio 'lavora') è quello è il suo 'innesto'. Poi aggiunge che la flora 'autoctona' per preparare i BLA 'Lagorai' è stata 'selezionata' in una malga che è la più lontana dalla tradizione dove si usano mangimi e le vacche sono Frisone'.

 

 

Insomma i BLA sarebbero una forma un po' più sottile di omologazione. 'Dicevano che ci vuole una qualità uniforme, omogenea, che altrimenti non si va nel mercato mondiale. Tutto l'Alto Adige usa gli stessi fermenti'. Secondo Oswald l'uso dei fermenti selezionati, sia pure autoctoni, è un ulteriore modo per realizzare una centralizzazione, per avere un potere di controllo. E aggiunge che la Libera associazione gode di scarso sostegno perché non è nata per impulso dall'alto 'sostengono e aiutano chi parte con il loro benestare, noi siamo un'associazione spontanea'.

 

 

Mentre Oswald prosegue a illustrare la sua 'filosofia' di gestione della malga seguito con molta attenzione (nella foto sopra, da sinistra Luca Battaglini presidente del corso di laurea in Scienze e cultura delle Alpi dell'Università di Torino, Fausto Gusmeroli, ricercatore della Fondazione Fojanini di Sondrio e Plinio Pianta, già nominato presidente di Amamont). Sono interessanti anche le cose che Oswald dice sul consumatore (co-produttore). Come spesso mi dicono i malghesi anche Oswald sostiene che 'non mi interessa il turista che mi compra 500 g di formaggio come un souvenir ma il consumatore tradizionale, del posto, quello che acquista 3-4 'pezze' di formaggio e se le cura durante l'inverno'. Aggiunge che a chi gli dice che la ricotta è cara e che la trovano a miglior prezzo al supermercato suggerisce di andare da Lidl dove costa ancora meno. Cita anche il caso del figlio del riccone locale che arriva in elicottero ('direttamente dalla spiaggia') e vuole la puína di malga per il papà, ma deve risparmiare, poverino.  Poi aggiunge che chi si ferma a mangiare qui  'mangia come mangiamo noi'. Ovvero tutti prodotti aziendali (tranne qualche prodotto confezionato ma bio). 'Prima di tutto ci teniamo alla nostra qualità di vita e di alimentazione, poi che chi viene impari qualcosa'. 'Quando siano arrivati qui 10 anni fa abbiano trovato una montagna di scatolette di tonno e di Simmenthal' A noi piace vivere diversamente. E che Montalon sia una malga 'particolare' lo dice anche il fatto che mancheranno certe 'modernità' ma c'è il micro-mulino per macinare i cereali e farsi il pane fresco in malga. Le cose buone poi sono molte e si notano tanti vasi e vasetti. Come nella cucina accogliente di un maso. In ultimo si parla dei 'ragazzi' che vogliono venire a fare esperienza di lavoro e di vita qui a Montalon. Oswald ne ha formati diversi ma ammette che molti scappano non tanto per la fatica ma per la paura della responsabilità sia pur minima. Però qui anche adesso lavorano due ragazzi.

 

 

All'esposizione di Oswald segue un'interessante discussione e non posso fare a meno di considerare che in occasioni 'autentiche' come queste si arrivano a toccare i veri problemi della montagna meglio che in tanti convegni. Poi ognuno riprende le proprie attività. Un gruppo si incammina per il Lago di Montalon e la Forcella, io resto per accompagnare Joanna e Stefano a recuperare gli animali. Nel frattempo ancora qualche scatto. La vecchia zangola che potete ammirare ancora mentre gira in:   La storia surreale del Butiro di malga   giace oggi inoperosa. La cosa mi mette un po' di tristezza. La ruota ad acqua che trasmetteva l'energia idraulica per farla girare giace nel prato. Il traliccio che ne: La storia surreale del Butiro di malga potete ammirare ancora integro (l'avevo fotografato quando ero venuto per la prima volta a Montalon nel 2007) è in parte crollato. Rimane però parte della struttura (foto sotto). Oswald non se la sente di ripararlo a sue spese. La malga dopotutto non è sua ma della baronessa e chi può essere sicuro delle intenzioni degli eredi? Con una spesa inferiore Oswald si è comprato una zangola elettrica in acciaio. Non c'è né storia, né poesia né cultura in questo utensile ma se quel capolavoro di ingegneria contadina o di archeologia industriale pastorale (scegliete voi) è un bene culturale (e io ritengo di si) dovrà intervenire qualcuno. Forse.

Se si consoliderà la consapevolezza che le malghe del Lagorai sono un patrimonio culturale prezioso, se non prevarrà l'idiozia del 'Lagorai selvaggio' che un marketing turistico-territoriale ruffiano cerca di far passare. Non prendono i telefonini, non ci sono rifugi (nel Lagorai vero e proprio c'è solo quello di Cima d'Asta). Qualcuno allora preferisce probabilmente che le ultime malghe vengano abbandonate in modo da spacciare questo territorio di millenaria cultura della malga per un'area wilderness, dove organizzare settimane di sopravvivenza usando le malghe abbandonate come bivacco (di 'manipoli'?). In assenza di opportunità di 'valorizzazione sciistica' o di altre succose speculazioni le 'vacanze avventura' possono essere un ripiego. E se qualche malghese si ostina a sopravvivere gli toccherà fare la comparsata da 'selvaggio'.

Noi tutti radunati a Montalon siamo decisi a scongiurare questa eventualità ma anche ad opporci alla parchizzazione del Lagorai. Le malghe non hanno bisogno di Parchi. Ce ne sono già troppi, oltretutto.

 

 

Lagorai significa anche acqua. L'acqua sul Lagorai non solo è abbondante, e quindi disponibile per la l'autoproduzione 'sostenibile' di energia elettrica ma è anche freddissima. Nella foto sotto i bidoni di latte immersi nell'acqua a 4° C. Un sistema di conservare il latte meglio che in un tank refrigerato. Utile per mantenere il latte di capra (non molto abbondante) da un giorno all'altro.

 

 

Alle sedici si esce per recuperare gli animali. Il primo capo che incontriamo è questa vacca Grigia dall'aria molto compunta, tranquilla e rilassata. Una vera signora.

 

 

Le vacche in genere non si fanno pregare ad alzarsi e mettersi in movimento verso la stalla. Questa manza Grigia un po' 'vecchio tipo', invece, deve essere convinta da Joanna (che calza gli stivali per paura delle abbondanti vipere).

 

 

Alla fine la piccola mandria, 15 vacche in lattazione più alcune manze e un torello molto loquace si avvia verso la mungitura.

 

 

Ad aiutare Joanna c'è Stefano che abbiamo già conosciuto. Stefano era qui due anni fa. Poi lo scorso anno ha lavorato presso Malga Brigolina, una malga 'modello' gestita da Latte Trento (asse portante del polo industriale lattiero-caseario provinciale) dove, incredibile a dirsi, nel 2008 c'è stato un sequestro di formaggi allo Stafilococco aureo coagulasi + (vedi articolo). Eppure è dotata di attrezzature tecnologiche all'ultimo grido e accorgimenti igienistici tanto che Stefano dice che lì 'è un delirio'. Ed è tornato a Montalon.

 

 

 

Dopo un po' che le vacche sono già in stalla arriva il gregge delle capre e delle pecore. Lo conduce Riccardo, un ragazzo di Reggio Emilia che è qui come volontario della associazione sudtirolese del Volontariato in Montagna

 

 

La stalla è vecchia ma confortevole. La pavimentazione è in selciato a lieve pendenza con l'acqua che scorre in continuazione (per la pulizia si rompe una 'diga'). Con questi sistemi Ercole si sarebbe risparmiato una delle sue fatiche ..

 

 

Nel frattempo gli amici che erano saliti alla Forcella tornano e assistono anch'essi alla mungitura (nella foto sotto Luca Battaglini e Plinio Pianta osservati con curiosità  da una vacca).

 

 

Sopra una soppalcatura della grande stalla il vecchio 'camerino' (foto sotto). Più recentemente ne è stato realizzato uno nuovo più spazioso. Un tempo dormivano qui anche i 'signori'.

 

 

L'energia elettrica non fa girare solo le pompe del vuoto delle mungitrici ma (foto sotto). Alimenta anche una radionina. E' sintonizzata su RAI 3 mi pare di capire. 'Di solito trasmette classica' dice Stefano. Al momento è jazz; speriamo che le mucche lo gradiscano.

 

 

La stalla è molto più grande del 'fabbisogno' attuale e viene utilizzata solo la parte terminale.

 

 

Nella foto sotto una panoramica della stalla quasi tutta vuota. 'Ci starebbero 80 capi ' precisa Stefano. I tempi sono cambiati.

 

 

La scuola di Montalon ha già 'diplomato' diversi ragazzi. Non è una scuola facile. Per alcuni l'impatto può essere duro. Specie se non si comprendono certe diversità culturali. Va detto che in questo contesto la diversità è comunque temperata dall'esperienza di Oswald che pur appartenendo alla cultura tedesca d'origine è anche osservatore abbastanza distaccato di entrambe nella sua posizione privilegiata con un maso sul confine e una malga in Trentino. Una posizione che consente  a Tonner di essere anche equanimamente critico verso i 'sistemi' politici di entrambe le provincie autonome. Dalla sua posizione di no-global contadino, di ecologista di maso e di malga (lontano anni luce di quelli da salotto), di rivoluzionario-conservatore (o conservatore-rivoluzionario) lontano al massimo da retoriche micro o macronazionalistiche non nasconde una pragmatica nostalgia per l'Austria ('che paga entro l'anno solare i contributi europei mentre con l'Agea a Roma non ci sono arrivati ancora quelli del 2008'). Una nostalgia condivisa anche da Laura, da posizioni politiche 'insospettabili'. Tutti sanno che  nella Valsugana rurale la fedeltà all'Imperatore d'Austria era fortissima ed è durata ben oltre il 1918. E qualcosa è rimasto. Sentimenti retrogradi? Viene proprio da dire di no se si conosce l'esperienza (politica, umana, culturale) dei nostri amici.

 

 

Ma torniamo alle bestie. Qui sotto vedete Riccardo, un ragazzo che viene 'dalla periferia di Reggio Emilia', un ambiente molto lontano da Montalon. Eppure in quindici giorni ha imparato benissimo e ora munge 16 capre a mano. La 'sala di mungitura' tutta in legno mette in evidenza come da queste parti la 'civiltà del legno' di Šebesta (il fondatore del Museo degli usi e costumi delle genti trentine di San Michele all'Adige) non sia morta.

 

 

Facciamo poi in tempo ad assistere ad alcune fasi di lavorazione. Adesso è l'Oswald casaro che parla con i gesti. Parla anche con il luccichio della calgèra perfettamente pulita (ha solo tre anni ed è perciò nuovissima, il che facilita la pulizia, ma non c'è traccia microscopica di ossido di rame).

 

 

La stalla mezza vuota fa pendant con la dimensione della caldaia. Sotto una foto storica in cui la calgèra era di ben diverse proporzioni.

 

 

E' ora di partire. Arrivati con la pioggia partiamo con un cielo limpido spazzato dal vento di Tramontana con le nuvole che corrono veloci e basse a incastrarsi sotto le masse di aria calda in quota (dove le nuvole restano 'ferme' tra le opposte correnti). Il Lagorai non è Dolomiti, ha le sue cime ma soprattutto ha i laghi, i boschi, e le malghe. Forse è più bello e certamente meglio essere la Terra delle malghe che una Dolomite-cenerentola. Le rocce qui poi sono vulcaniche e metamorfiche, che c'entra il signor Dolomieau?

 

 

Portiamo via con noi tante impressioni, tante idee, tanti propositi. Il Lagorai, ne sono certo, è una solida trincea e un caposaldo della civiltà delle malghe, della civiltà ruralpina. In rete con altri capisaldi può sviluppare una bella resistenza.

 

 

 

 

 

pagine visitate dal 21.11.08

counter customizable
commenti, informazioni? segnalazioni scrivi

Registra il tuo sito nei motori di ricerca

 Creazione/Webmaster Michele Corti